DEPRESSIONE – Spiegando la mia depressione a mia madre: una conversazione
Opera originale: “Explaining my depression to my mother: A conversation” di Sabrina Benaim
«Mamma, la mia depressione è un mutaforma. Un giorno è piccola come una lucciola nel palmo di un orso, il giorno successivo è l’orso. In quei giorni mi fingo morto fin quando l’orso non mi lascia in pace. I giorni difficili li chiamo “giorni bui”.»
Mamma dice: «Prova ad accendere delle candele.»
Ma quando vedo una candela vedo l’interno di una chiesa, il barlume di una fiamma, scintille di una memoria più giovane di mezzogiorno. Sono in piedi accanto alla sua bara aperta. E’ il momento in cui comprendo che tutti quelli che conoscerò prima o poi moriranno.
«Vedi mamma, non ho paura del buio… forse questa è una parte del problema.»
Mamma dice: «Pensavo che il problema fosse che non riesci ad alzarti dal letto.»
«Non posso, l’ansia mi tiene in ostaggio dentro casa mia, dentro la mia testa.»
Mamma dice: «Da dove viene quest’ansia?»
«L’ansia è il cugino in visita da fuori città che la depressione è costretta ad invitare alla sua festa. Mamma, io sono la festa… ma una festa alla quale non voglio partecipare.»
Mamma dice: «Perché non provi ad andare a delle feste vere, a stare con i tuoi amici?»
«Certo, io faccio progetti. Pianifico, ma non voglio andarci. Pianifico perché so che dovrei voler andare. A volte so che avrei dovuto desiderare di andare, ma non è così piacevole divertirsi quando non ti vuoi divertire, mamma! Vedi mamma, ogni notte l’insonnia mi stringe tra le sue braccia, mi fa sprofondare in cucina al flebile bagliore della luce della stufa. L’insonnia ha questo modo romantico di mostrarmi la luna come una perfetta compagnia.»
Mamma dice: «Prova a contare le pecore.»
Ma la mia mente può contare solo i motivi per restare sveglia. Quindi vado a passeggiare. Ma le mie rotule traballanti si sfregano come fossero cucchiai d’argento stretti da mani forti con polsi molli che suonano nelle mie orecchie come campane stonate, ricordandomi che sono un sonnambulo sopra un oceano di felicità nel quale non riesco a battezzare me stesso.
Mamma dice: «Essere felici è una scelta.»
Ma la mia felicità è tanto vuota quanto un uovo bucato da una spilla. La mia felicità è una febbre alta che mi abbatterà. La mamma dice che sono bravo a creare qualcosa dal nulla e poi, senza mezzi termini, mi chiede se ho paura di morire. No, io ho paura di vivere!
«Mamma, io sono solo! Credo di aver capito quando papà se ne è andato come trasformare la mia rabbia in solitudine e la solitudine in un impegno. Perciò, quando ti dico che ultimamente sono stato super-impegnato, intendo dire che mi sono addormentato guardando la TV sul divano per non affrontare il lato vuoto del mio letto.»
Ma la mia depressione mi trascina sempre nel mio letto, fino a quando le mie ossa non diventano fossili dimenticati di una città fantasma inabissata e la mia bocca un cimitero di denti rotti per essersi masticati tra loro. Il mio petto, come un auditorium vuoto, rimbomba all’eco del battito cardiaco. Ma io qui non sono che un turista distratto. Non saprò mai veramente dove sono stato. Mamma continua a non capire…
«Mamma, non vedi? Neanch’io!»